Aqua

AT CANDLE LIGHT – ALLA LUCE DELLA CANDELA

Il cipresso svettante verso il cielo
getta la sua ombra su orizzonti da tempo perduti,
lambiti da miriadi di luci sulla superficie
che tracciano un sentiero come un milione di candele
sul lago plumbeo.
Iris argenteo, guardami dentro!
Accendi la tua fiamma!
Spalanca le ali e guidami sulla mia strada!
Sii il mio peccato e la mia salvezza!
Riscalda il rifugio
e oscura il cammino!
Avanzerò con te alla luce della candela.
Il circolo è vizioso.
Desolata è la vista delle colline illuminate dalle lanterne
che oscillano nella brezza del luttuoso respiro.
Pilastri che tracciavano i solchi dei fiumi tumultuosi
quando ancora sorgevi notte dopo notte.

DEPARTURE SONG – CANZONE DELL’ADDIO

In una notte ventosa,
sul molo sotto i cieli grigi,
là io canterò il mio ultimo addio.
Giù al porto, col mio calice di commiato,
salperò verso l’ignoto.
Non risparmierò tempo affinché le vostre lacrime aride
cadano sulla superficie del mio mare.
Per quanto possa essere in pezzi
lo sono secondo quanto ho meritato
e canterò alla luna con voce di tempesta
la mia canzone d’addio.
Gorghi e onde imponenti si incontrano nella baia
e la campana suona sinistra nel vento.
Gli occhi immobili della polena silenziosa
condividono il mio stesso sguardo freddo e vuoto sull’abisso.
Non risparmierò tempo affinché i vostri rasoi
calino ancora sulla mia pelle lacerata e rossa di sangue.

THE DOVE AND THE SERPENT – LA COLOMBA E IL SERPENTE

La mano si apre
e le ceneri lasciano una traccia sull’acqua.
“Affonda con me! Soffoca!
Prendimi per mano e sii mia!”
La voce grida da sotto la superficie
e le gambe collassano al suo ricorrente suono sempre più forte.
“Vieni con me ancora una volta!
Le lacrime non riporteranno indietro ciò che da tempo non c’è più”.
Gracchia il corvo dall’alloro.
“Fai adagiare la tua anima su questo buco
e sentiti di nuovo completo!”
“Avvolgimi con le tue spire!”
aveva cantato la colomba, innamoratasi del serpente.
“Mostrami una strada attraverso l’inverno!”
aveva esclamato il demone,
consegnando il proprio cuore all’angelo.
Le piume cadono,
mentre il silenzio viene infranto
e le frammentarie immagini del passato svaniscono nella luce del sole,
pur riflettendosi ancora sul fiume.
Fatalisti, i bisbigli del debole uccello si fanno più fiochi.
Non è riuscito a comprendere i segni della rovina
e presto il serpente sputerà il suo veleno.
“Fai adagiare la tua anima sul tuo trono
e sentiti di nuovo completo!”

THE ANGEL IN THE LIGHTHOUSE – L’ANGELO NEL FARO

Fisso il cielo scuro,
in pezzi, ad occhi spalancati
e affronto da solo la mia notte insonne.
Nel canto dell’oceano riconosco il pianto di un bambino.
Sono le onde che sovrastano l’ancora o è la mia mente?
Ammutoliscono le parole del navigatore,
perso lungo la sua rotta
e malfunzionanti sono le lancette della sua bussola.
Come un faro mi accenderò.
Come la più luminosa stella del cielo che indica la via.
Vicini agli astri, eppure così lontani.
Con solide radici, occhi vuoti e vetri appannati.
Persi nella paura e con le ali spalancate,
gettiamo la nostra luce dal faro.
Improvvisamente, attraverso la nebbia, colgo un segno:
bianche vele strappate
che affidano il miraggio di sé alle fiamme che portiamo.
Perché siamo sempre umani
e mai così vicini al calore astrale,
eppure troviamo la nostra fine nella guida dei perduti.
Luci di lontano si accendono.
Come cagione dello smarrito siamo stati creati un tempo,
ma ora come un faro ci accenderemo.
Come la più luminosa stella del cielo che indica la via.

THE DROWNED – L’ANNEGATO

La litania delle onde mi abbraccia.
Fredde luci intermittenti e sfavillanti mi tagliano lo sguardo.
Allucinazioni mi trascinano tra i coralli
lungo la mia discesa
e dimenticata appare la pietra
per sempre posta sopra il mio capo.
Presto la delusione fondata sulla luce svanirà nel blu.
Migliaia di lapidi costellano il tetro deserto al di sotto.
Mentre il mio diritto di immergermi nel dolore
lentamente mi trascina verso il basso,
mi sento così stanco
e indosso la pesante corona.
Una volta sul trono chi oserà più portarmi giù?
L’annegato prenderà posto alla corte della tragedia
e quindi chiederà agli stolti: “Sono io il re?”
Sembra che un meteorite mi sia caduto sulla testa,
là sul mare tra le onde.
Quest’inferno ramato.
Le oscure nubi fiammeggianti.
Il sole al tramonto mi ha insegnato
un nuovo modo di risplendere.

STORMBOUND – COLPITI DALLA TEMPESTA

Mentre le mie lacrime toccavano l’acqua
mi ritrovai nel blu,
tenuto per mano da uno sconosciuto.
Infine un’isola mi separò da lui.
Nuvole argentee nel cielo incombente
hanno scritto i nostri nomi nel vento.
Perché siamo stati colpiti dalla tempesta
e saremo per sempre liberi.
Perché siamo i figli del nubifragio
e del silenzioso abisso.
Perché scorgeremo attraverso la burrasca
la nostra strada verso le stelle.
In catene attende il pescatore,
ma una volta libero abbraccerà l’abisso
e là cercherà la sua fanciulla,
senza che nessuna lanterna la illumini.
Il vento ancora scuote l’alloro
e le sue foglie dimorano in quelle acque.
La pioggia scende ininterrottamente
e, sebbene cieco, mi hai insegnato a vedere.

ARKANGELOS – ARCANGELI

Infine il cielo squassato rovinò sulla torre nel mare.
Oltre il velo lacero delle nubi
si ergeva una spirale di grigie locuste.
Avidi di carne e famelici
i parassiti mi scendevano lungo la spina dorsale,
e, profeti di un virus corrotto,
si cibavano dentro i miei occhi.
La torre indicava la via
e ci vennero date le ali che meritavamo.
Poi la torre mi parlò
con voce eterea e labbra spaccate.
Dal cielo venivano gli insetti.
Lo sciame presto inghiottì la torre
e il vento debole tacque nella tempesta,
mentre discendeva verso il mare.
Torvo l’ululare dello spettro
si schiantò sulla vivace lanterna.
Calò il fuoco e sigillò il sacro voto.
Arcangeli.
Nonostante il ruggire del mostro
gli insetti ignorarono il suo sordo richiamo
e, imperiose come trombe,
le loro ali ronzanti continuarono a trascinare le falene tra le fiamme,
prima che il demone gemente
venisse gettato tra le fauci dell’oceano.
Il suo volto era una maschera di terrore
quando vide la torre resistere.
Torre, lasciami entrare
e sarò a casa!
Amore mio, ho lasciato lì il mio calore
per sentirti più vicina.

OF DEW AND FROST – DI RUGIADA E BRINA

Riesco a vedere la ferita
oltre i tuoi occhi ribelli e vermigli,
ma tu riesci a fare altrettanto
con le schegge di vetro che mi turbinano intorno?
Spingi le tue dita nella mia gola
finché non potrò più respirare!
Se ti terrò stretta,
mi attirerai nella tua gravità?
Portami giù!
Riducimi in pezzi,
finché sarò sulle ginocchia!
Tagliarmi le palpebre! Permettimi di vedere,
così potrò distinguere la rugiada dalla brina!
Racchiudendo una foglia nel tuo timido e virtuoso pianto
lascerai bagnata la mia pelle mentre ti asciugherai.

RAIN – PIOGGIA

Vagando lungo strade silenziose,
con le spire attorcigliate alle spalle,
il vetro infranto illumina un corvo,
empio, ferito e di mia proprietà.
Presto con l’alba si alzerà la brezza gelida
e là le nubi a monte scenderanno
come coltelli lanciati dagli angeli,
fatti di pietra e sfregi.
La pioggia mi intride la carne
e non distingueranno le lacrime dalle tue dolci carezze.
Come un peso verrà tagliato, estirpato,
il fiore che sboccia da queste ferite.
Neri corvi cantano,
spingendo a fondo le spine dei ricordi
e la pioggia scorre sulle tegole del tetto,
guidando i miei passi verso casa.
I muri sono ingannevoli
e si richiudono su di me,
mentre cado su quelle ginocchia che sostenevano l’orrendo peccato
di aver sigillato i miei occhi rossi.
Piume d’ebano, affilate come rasoi,
volteggiano nel cielo.
Potrebbe essere il pensiero di qualcuno davvero esausto,
ma mi fissano e mi deridono.
Perché mi mentiresti?
Per le tue ali d’angelo? Per orgoglio?
Perché piangeresti?
Per le tue ali d’angelo? Per orgoglio?
Sei la mia guida e la mia indomita resistenza.
Sei la mia leggiadra dama della pioggia.

MOONLIGHT REQUIEM – REQUIEM DELLA LUNA

Attraverso il cortile camminavo nella luce delle lanterne
e il profumo di pioggia si alzava dal terreno pesante.
Sotto le unghie e fin nelle ossa
l’autunno si scavava la sua strada.
Portami via! Confortami!
Spingimi nel tuo abbraccio, luce lunare!
“Riposa il tuo capo, bambino!
Non ti lascerò più”.
Le lacrime che scendono disegnano macchie simili a stelle
e un coro pulsante si perde nella luce chiara.
Vai alla deriva,
mentre intona il tuo ultimo requiem.
Accanto al muro di pietra ricordo ancora
quanto desiderassi il tuo profumo di alloro.
Un frammento di te.
Avvolta dalla foschia e fusa alla notte,
l’inverno ti reclamava da me.
E in quel momento non capivo la differenza
tra i brividi di freddo e lasciare che il freddo mi penetrasse dentro.
Era l’aspetto davvero fioco e spaventoso delle luci al neon
a disegnare quel sorriso di accettazione sulle tue ardenti labbra?
In quella notte di Novembre scegliesti di svanire
e finché la luce non mi accoglierà
vivrò nella tua assenza.
Quando la luna tramonterà oltre le montagne nei pressi del lago,
tu sarai là, impossibile da scorgere.

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